Training Autogeno e Psicoterapia.





TRAINING AUTOGENO PESARO URBINO URBANIA


TERAPIA AUTOGENA

Il training autogeno è una tecnica di rilassamento basata sulla correlazione tra stati psichici (in particolare le emozioni) e aspetti somatici dell'individuo. Ogni esperienza viene mediata, infatti, dal soma: attraverso questo si può accedere, usando una sorta di "corsia preferenziale", all'origine dell'esperienza stessa. Le emozioni sono il risultato di un complesso insieme di modifiche che coinvolgono sistema nervoso periferico, sistema nervoso centrale, ormonale e più in generale, neuroendocrino. L'attribuzione cognitiva (ad esempio un'emozione vissuta come piacevole o spiacevole), riguardante la neocorteccia, risulta verificarsi secondariamente. Oltre ad una predisposizione genetica, l'assetto, ovvero l'equilibrio, tra aspetti prevalentemente somatici ed aspetti di natura principalmente cognitiva (risultanti dall'interazione con l'ambiente fisico e sociale) determina il tipo di risposta che ognuno avrà rispetto all'ambiente stesso durante lo sviluppo. Indurre volontariamente con il Training Autogeno, a livello corporeo, delle risposte tipiche degli stati di quiete di un soggetto ha, da una parte, riflessi sull'autopercezione, a livello cognitivo, della propria  condizione emozionale e dall'altra produce una risposta somatica coerente con l'induzione stessa. In pratica la modifica dell'assetto psicofisiologico del soggetto si inserisce in un processo che si auto determina (autogeno, appunto) partendo dal soma per arrivare alla psiche per tornare al soma e così via. In ultima analisi il Training Autogeno è interpretabile come un allenamento alla spontaneità e all'abbandono, una tecnica del lasciarsi andare, alla passività, una speciale passività che è attiva nello stesso tempo, del lasciar accadere quindi. "Un'intelligenza" profonda si libererà allora dal corpo e dalla mente e agirà per il riequilibrio mentale psichico ed organico grazie alla nostra disposizione a questa speciale passività. Molti che praticano ed insegnano il Training Autogeno tendono a strascurare quest'aspetto fondamentale, pensano che si tratti di esercizi del "fare", un compito meccanico quindi. La pratica del training autogeno ci invita ad evidenziare esattamente l'opposto: imparare il "non fare" quindi,  affinché gli equilibri rimossi, inibiti, sia fisici che mentali, possano trovare spazio. Chi insegna ad un animale a riposare, ad un bambino a dormire? Nessuno: il corpo sa come riposare, come dormire. La mente, che vuole controllare tutto, riesce a frenare la capacità di lasciarsi andare. Il training autogeno aiuta la mente a riacquistare la capacità dell'abbandono e della passività alla saggezza del corpo e della psiche, saggezza che gli animali sanno conservare e i bambini non hanno ancora perduto. Il Training  Autogeno comprende due gruppi  di esercizi: ciclo inferiori e ciclo superiore. Gli esercizi del ciclo inferiore o somatico del Training Autogeno, sono volti  a far raggiungere la capacità di abbandonarsi all'ascolto passivo del corpo, il Training Autogeno del ciclo superiore all'ascolto passivo della psiche. 



RITMI BIOLOGICI  E  TRAINING AUTOGENO

    Ogni essere vivente ha una struttura organica che:
        
agisce nel mondo si ricostruisce continuamente, perché va incontro ad usura e lesioni

    Ogni essere vivente  ha due fondamentali modalità di essere:
      

attività, finalizzata ad agire nel mondo 
riposo, finalizzato all’autorigenerazione

    La modalità di essere dell’attività raggiunge la massima intensità durante la veglia, durante la quale è particolarmente intensa l’usura del corpo

    La modalità di essere del riposo raggiunge la massima intensità durante il sonno, durante la quale è particolarmente intensa l’autorigenerazione

    Naturalmente la veglia ha momenti di riposo (pause, distacchi, distensioni, ecc), ma non così profondi come il sonno, ed il sonno ha momenti di attività (sogno, movimenti, ecc), ma non così intensi come l’attività della veglia.

    La maggior parte degli esseri viventi regola le fasi:
      
attività-riposo 
sonno-veglia

    del tutto istintivamente in modo equilibrato.

    L’uomo quasi sempre ha spezzato questo equilibrio per intensificare la fase dell’attività, seguendo la sua volontà di autoaffermazione dissintonia con gli autentici bisogni.

    In questa fase la mente progetta, i muscoli sono contratti, ipertonici, l’attività cardio-circolatoria e respiratorio è intensa.

    Non è necessario agire  in modo costruttivo per essere in questa fase: si può essere in fase di attività anche stando inerti su una sedia o su un letto, se la mente è attiva, i pensieri si rincorrono, si è agitati interiormente. Si tratta di una attività afinalistica, ma  ugualmente usurante.

    Non solo l’uomo riduce o annulla la capacità di avere fasi di riposo durante la veglia, ma riduce le capacità di riposo e di restauro anche durante il sonno.

    Le conseguenze di questo squilibrio sono: stanchezza, stress, riduzione della vitalità, disfunzioni, accumulo di tossine endogene, patologie psicosomatiche,  invecchiamento precoce, usura dei tessuti, predisposizione a patologie organiche e degenerative di varia natura.

    E’ indispensabile, per tornare all’equilibrio psicofisico, ritrovare l’equilibrio riposo-attività spezzato.

    Vi sono molte tecniche finalizzate al benessere che tendono a queste, ma tutte vogliono ritrovare l’equilibrio attraverso un’azione volontaria, un’azione della mente.

    In realtà questa modalità di procedere va nella stessa direzione della causa dello squilibrio: un eccesso di azione.

    Il Training Autogeno è l’unico metodo che agisce spegnendo la volontà: il training autogeno insegna la modalità della passività, dell’abbandono passivo, dell’ascolto del corpo e della mente.

    Se la mente riprende la capacità di abbandonarsi alla passività, l’ostacolo alla distensione, al riposo, al recupero, vengono meno.

    Sostanzialmente, non ci sarebbe nulla di nuovo da imparare nel Training Autogeno, ma semplicemente un eliminare, o per meglio dire aggirare gli ostacoli creati dalla mente. Il corpo sa come ricostruirsi, rigenerarsi. Nessuno deve insegnarglielo.

    E’ sufficiente disporre la mente alla passività, perché il corpo riprenda a distendersi,  recuperare energia,  autoripararsi, autorigenerarsi. (Ciclo inferiore del Training Autogeno)

    E’ sufficiente che la mente sia disposta alla passività perché affiorino contenuti psichici inconsci o rimossi, blocchi affettivi, eventi psichici traumatici: e questo affiorare è l’elemento fondamentale per procedere verso il  riequilibrio psichico, per un cambiamento positivo, per riprendere il percorso evolutivo personale. (Ciclo superiore del Training Autogeno)

    
Il Training Autogeno è dunque costituito da due serie di esercizi :

ciclo inferiore o somatico 
ciclo superiore o psichico


    TRAINING AUTOGENO ESERCIZI DEL CICLO INFERIORE O SOMATICO

        Ciclo inferiore del Training Autogeno

    La prima serie di esercizi è finalizzata a sbloccare la spontanea capacità del corpo all’abbandono quando la mente si mette nello stato passivo, indifferente e distaccato, di ascolto, permettendo il recupero energetico, l’autoguarigione, l’autorigenerazione.

        Gli esercizi del ciclo inferiore che dispongono la mente alla fase della passività (modalità innata, come già detto, ma bloccata da erronei atteggiamenti mentali che hanno preso il sopravvento, e risvegliata dagli esercizi 
    del ciclo inferiore) sono:

    esercizio della pesantezza
    esercizio del calore
    esercizio del cuore
    esercizio del respiro
    esercizio del plesso solare
    esercizio della fronte
      Gli esercizi del ciclo inferiore  portano ad una profonda distensione del corpo, al  raggiungimento  dello stato "autogeno", una condizione di abbandono simile a quella del sonno, ideale per il recupero energetico e l'autoguarigione.


      TRAINING AUTOGENO ESERCIZI DEL CICLO SUPERIORE O PSICHICO

          Ciclo superiore del Training Autogeno

          La seconda serie di esercizi finalizzata all’emersione dei contenuti psichici rimossi, ai cambiamento evolutivo, consistono in visualizzazioni e formulazioni :


      visualizzazione del colore personale 

      visualizzazione di tutti i colori (esperimento del prisma) 

      visualizzazione di oggetti 

      visualizzazione di concetti 

      visualizzazione di vissuti personali 

      visualizzazioni di persone 

      risposte chiarificatrici inconsce 

      domande rivolte alla nostra parte inconscia.

        Questi esercizi  del Training Autogeno, permettono di agire profondamente sull'inconscio, adeguatamente guidati dallo Psicoterapeuta che ben conosce la via al recupero delle risorse migliori, che per nostra natura possediamo da sempre, in modo analogo alla psicoterapia analitica, ma con maggiore rapidità ed intensità.


        Percorso Storico della Terapia Autogena

        I presupposti teorico-metodologici della psicoterapia autogena sono da ricondurre alle ricerche ed agli studi, effettuati tra la fine del diciannovesimo e gli inizi del ventesimo secolo, da eminenti studiosi, quali il neurofisiopatologo Oskar Vogt ed il neuropsichiatra Johannes Heinrich Schultz. Dal 1932, anno in cui J.H. Shultz pubblicò la sua fondamentale monografia "Das Autogene Training", l'approccio autogeno, inizialmente conosciuto ed applicato prevalentemente nei Paesi di lingua tedesca, si è ampiamente diffuso in Europa, come in Asia ed in America, tanto che in letteratura oggi si conta una rilevante massa di voci riguardanti i vari aspetti, sia teorici che clinico-applicativi, della psicoterapia autogena. Eppure, in Italia, come affermava già nel 1976 il Prof. Luigi Peresson, docente di Psi-coterapia presso l'Università degli Studi di Trieste, tale approccio psicoterapeutico "[...] è scarsamente e, quel che è peggio, malamente conosciuto e per di più attuato solitamente in modi scorretti. Non solo: la sua volgarizzazione in questi ultimissimi anni ne ha travisato presso il grosso pubblico l'autentico significato scientifico, riducendo la tecnica a semplici e banali esercitazioni di rilassamento". Per converso, negli Stati Uniti, già dal 1975 Robert A. Harper, nel suo volume "The New Psychotherapies" definiva l'approccio autogeno come un modo di impostare la psicotera-pia molto "raffinato", "scientificamente fondato" e "tecnicamente complesso". A fronte della enorme diffusione del metodo autogeno, come afferma Luciano Masi, profondo studioso dell'argomento, "[...] non c'è stata, però, un'analoga espansione della consapevolezza delle sue reali caratteristiche scientifiche, dei suoi fondamentali principi teorici e di tutte le implicazioni culturali e sociali che all'applicazione di esso sono legate". Le basi del sistema teorico sottostante all'approccio autogeno sono da ricercare, oltre che in J.H. Schultz, in alcuni dei suoi più esimi allievi e collaboratori, ed in ispecie in E. Kretschmer, W. Luthe, H. Wallnofer e T. Bazzi. Tale sistema teorico si fonda sulla concezione della personalità umana come un complesso altamente integrato, in cui elementi psichici e biologico-costituzionali risultano profondamente interconnessi e quindi inscindibili.
        E. Kretschmer, ad esempio, nel delineare la 'legge psicofisica', su cui pose le basi della propria caratterologia, affermava: "La regolazione del tono della muscolatura volontaria, quella del sistema neurovegetativo e quella della timopsiche sono tra loro strettamente interdipendenti e sono l'espressione di una tipologia costituzionale". Da tale presupposto nacquero, poi, i fondamentali studi di Kretschmer sulle costituzioni morfologiche, sottese a specifiche tendenze temperamentali, potenzialmente orientate verso specifiche patologie, che confluirono nella sua famosa tipologia caratteriologica. Un punto cardine, in tale ambito concettuale, è rappresentato dal concetto di "Tiefenperson" (traducibile, solo approssimativamente, con "Personalità Profonda"). Attraverso tale   termine ci si riferisce ad una "[...] dimensione psichica rudimentale, strettamente connessa all'attività neurovegetativa e ormonale, e strutturante 'orientamenti' e 'tendenze' che, in determinate situazioni, possono anche portare a sbocchi disadattivi". La Tiefenperson consta di due fondamentali 'meccanismi psicofisiologici', che Kretschmer denomina, rispettivamente, "iponoici" ed "ipobulici". I meccanismi iponoici attivano tutte le forme di conoscenza e di apprendimento che hanno luogo al di sotto del livello di consapevolezza conscia: essi "aggirano" la razionalità logica ed il linguaggio nel suo specifico significato referenziale. " [...] Si tratta, quindi, di 'informazioni' continue che la Tiefenperson riceve in forma subliminale attraverso il linguaggio delle emozioni, delle comunicazioni espressive, delle suggestioni, delle immagini visive o di altro genere, delle fantasie, dei sogni: quel linguaggio che si rivolge all'individuo 'decorticato', che ha allentato cioè temporaneamente il potere dei 'filtri' del pensiero normalmente usato, per servirsi di uno più arcaico e più idoneo ad arrivare agli stati profondi della personalità". I meccanismi ipobulici, da parte loro, attivano tutte le modalità di reazione, strutturate al di fuori dell'intenzione volontaria, sulla base degli apprendimenti acquisiti iponoicamente. Qualora apprendimenti subliminali (iponoici) contrastino con fondamentali ed autentiche esigenze biologiche, possono svilupparsi tendenze comportamentali disadattive, operanti al di sotto ed al di là delle intenzioni coscienti e volontarie (ipobuliche). Giacché la Tiefenperson è da considerare "[...] un livello di attività psichica primitivo, che si fonde con quello fisiologico", le peculiari tendenze ipobuliche che nella Tiefenperson prendono forma risultano, per così dire, 'plasmate' dalla secrezione ormonale nonché dall'assetto del sistema neurovegetativo, strettamente interagenti con gli apprendimenti iponoici sedimentati; in altri termini, la Tiefenperson, nelle sue specifiche manifestazioni ipobuliche, risente di una serie di complessi fattori ed influssi di natura endogena, esogena, organica e psicogena. Nell'ordine delle considerazioni sopra riportate, quindi, si può affermare che le caratteristiche e le tendenze tipiche della Tiefenperson sono di multiforme tipologia e di origine plurifattoriale, costituendo la base ed il fondamento "[...] delle disposizioni affettive, delle reazioni comportamentali, degli atteggiamenti conoscitivi, difensivi e adattivi, cioè di tutto quel complesso di strutture che costituisce la personalità". Secondo tale ottica, le nevrosi nascono dal contrasto tra i 'radicali biologici' (caratteristiche e bisogni costituzionali di ogni singolo individuo) e l'organizzazione comportamentale 'ipobulica' (quando sia con essi incongrua), ampiamente influenzata dagli apprendimenti 'iponoici', oltre che dai "messaggi" biologici, a prevalente azione neurovegetativa ed ormonale. Ne consegue che la psicoterapia, secondo la tipica concezione di E. Kretschmer, deve prefiggersi, come obiettivo primario, un adeguato accesso alla Tiefenperson, 'substrato primario' paragonabile ad una sorta di 'inconscio psicosomatico', intimamente interconnesso con la biotipologia dell'individuo, per operare poi in due fondamentali direzioni, che prevedono, in sostanza, un'azione volta a: - incidere sul corredo di informazioni 'erronee' della Tiefenperson [intervento sui radicali iponoici]; - modificare le incongrue tendenze profonde che dalle prime si sono andate strutturando [intervento sui radicali ipobulici]. Spetta al Prof. Tullio Bazzi, che seguì i corsi di Kretschmer a Tubinga, ed al suo 'allievo', Prof. Luigi Peresson, il merito di aver dato al metodo psicoterapeutico, fondato sui presupposti teorici sopra esposti, la chiarezza ed il rigore concettuale di cui abbisognava. A livello di ricostruzione storica, secondo i sopracitati Bazzi e Peresson, le origini dell'approccio terapeutico autogeno "[...] risalgono agli studi che il neurofisiopatologo Oskar Vogt andava conducendo tra il 1894 e il 1903 sul sonno e sui fenomeni fisiologici ad esso connessi". Johannes Heinrich Schultz, il futuro ideatore della Psicoterapia Autogena, ai primi del '900, leggendo i lavori di Vogt, all'epoca in cui lavorava presso la clinica medica di Richard Stern, incrementò il proprio interesse per un settore che l'aveva affascinato sin dall'epoca dei suoi studi universitari di medicina: appurare le caratteristiche di quel complesso fenomeno psicofisiologico, denominato 'ipnosi', che tanti aspetti pareva avere in comune con il sonno. L'orientamento e le ricerche di J.H. Schultz, attento conoscitore della Psicoanalisi a cui si era sottoposto per tre anni, si avvalsero, quindi, della personale conoscenza delle due principali tendenze psicoterapeutiche del tempo: quella 'ipnotico-neuro-fisiologica' e quella 'psicoanalitica', mutuata dall'orientamento catartico di Breuer. Il 1924, anno in cui Schultz si trasferisce a Berlino, segna l'incontro personale con Vogt (già conosciuto, per              altro, nel 1905 presso la Clinica Medica dell'Università di Breslavia) ed il saldarsi di un'amicizia tra i due scienziati, che durerà per tutta la vita. Tale evento permise a Schultz di meglio chiarire le ricerche di Vogt, nonché di valutare direttamente le caratteristiche dell'approccio terapeutico da Vogt denominato "metodo frazionato" o "ipnosi frazionata". In sostanza, Vogt aveva messo a punto              un metodo, attraverso cui tendeva a riprodurre ed indurre una sorta di "sonno artificiale", mediante la creazione del tipico contesto 'naturale' attraverso cui si avvia il processo dell'addormentarsi: eliminazione degli stimoli acustici disturbanti, riduzione dell'illuminazione, temperatura confortevole, posizione orizzontale di distensione e rilassamento, chiusura degli occhi; elementi tutti, "[...] che portavano ad una diminuzione di eccitabilità nervosa ed inducevano alla distensione ed al riposo". La realizzazione del "sonno artificiale" veniva facilitata, inoltre, da stimoli verbali del terapeuta, che              suggerivano "calma" e "confortevole rilassamento". A mano a mano che il paziente apprendeva, con l'aiuto del terapeuta, a sperimentare questo "sonno profilattico ipnotico", Vogt lo incoraggiava a raggiungere una progressiva indipendenza dal terapeuta, invitandolo a praticare da solo, durante l'arco della giornata, quelle che egli denominò "pause profilattiche". Attraverso l'applicazione di tale metodica, Vogt poté constatare che molti dei suoi pazienti nevrotici riuscivano a determinare autonomamente la deconnessione propria dello stato ipnotico, conseguendo positivi risultati di distensione, calma e recupero di energia, nonché un notevole aumento delle capacità di auto-osservazione psicologica. E' a partire dal "metodo frazionato" di O. Vogt, che J.H. Schultz costruirà il suo metodo, da lui in seguito denominato "Training Autogeno"(sigla: T.A.), che costituirà il presupposto della complessa ed articolata impalcatura della Psicoterapia ad orientamento autogeno. Afferma, a tal proposito, il Prof. Luigi Peresson: "Dal metodo frazionato di Vogt, Schultz coglie alcuni momenti che ritroviamo pressoché identici nel T.A.: così la creazione dell'ambiente adatto per l'esecuzione degli esercizi, la postura per ridurre al minimo gli stimoli afferenti ed efferenti, la ripetizione delle formule, il principio dell'allenamento, ecc. Ma tra le due tecniche, a parte la diversa progressione dell'esecuzione, c'è un divario sostanziale. Esso è rappresentato proprio da quell'elemento autogeno che nel metodo di Vogt, così fortemente impregnato di fattori eterosuggestivi propri dell'ipnosi, non si ritrova per nulla. Diremo, anzi, che la chiave per comprendere a fondo il T.A. è rappresentata da quell'aspetto e non da altri: dal fatto cioè che il Training si genera da sé". 


        Riferimenti Biblografici: 

        Il training autogeno Di Johannes Heinrich Schultz - 1999

        Luigi Peresson, Trattato di Psicoterapia Autogena - E.C.A.A.T.European Committe For Analytically Oriented Advancer Autogenic Training, CISSPAT-Padova

        TBA: terapia bionomico-autogena. Fondamenti, principi, tecniche e applicazioni di: Ferdinando Brancaleone. 

        Peter Sloterdijk, Stato di morte apparente. Filosofia e Scienza come esercizio - 2011, Raffaello Cortina Editore.


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        Studio di Psicologia e Psicoterapia  


        Centro Clinico Milton H. Ericksoniano 
              Trattamento dei Disturbi d'ansia, delle Fobie, Attacchi di panico e Disturbi dell'umore.
                 Training Autogeno Pesaro Urbino Urbania.

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        A cura di:
        Danny Esposito

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